Non c'è affermazione nel lavoro senza adeguato tirocinio: la classica "gavetta" è sempre dovuta.
Non c'è carriera, non ci possono essere promozioni se il proprio curriculum lavorativo non abbia seguito i canoni della meritocrazia.
Queste regole, però, son valide solo per gli onesti non raccomandati e chi è buono, volenteroso e onesto è, di per sé, già fedele, saggio e giusto.
Il malevolo, lo svogliato, il disonesto sguazzano, quasi sempre, nel vizio e, pertanto, non potranno mai raggiungere la giustezza del buon vivere.
© Mario C.
8 commenti:
Il "lavoro" in fisica consegue lo spostamento di una massa a cui viene applicata una forza.
Nel nostro mondo metafisico con "lavoro" si intende una qualsiasi attribuzione di ruolo/funzione che da diritto ad un emolumento, anche senza che avvenga alcuna trasformazione. Ovvero, esistono infiniti "lavori" dove non fai un cavolo e niente devi sapere fare, esistono infiniti lavori dove non c'è nessuna correlazione tra l'emolumento e l'attività.
Non c'è inganno, non c'è finzione e nemmeno illecito. Sopra ho scritto "diritto", che significa "quello che è giusto, corretto". Non solo, questo "diritto" per esistere deve necessariamente affermare che il principio contrario, cioè che "lavoro" consista nel trasformare e che esista una relazione tra il trasformare e il guadagno, sia illecito. Chi "produce" e da questo "guadagna" si configura come uno scemo se non un criminale.
Quindi le premesse e le conclusioni del tuo post sono false.
Si vede che son pensieri di uno che è vissuto molto prima che in taja si arrivasse alle 200.000 e passa leggi e relativi addetti alle interpretazioni molto prima del reddito di cittadinanza, delle lotterie degli scontrini, della sanità bubblica, delle promozioni per tutti gli studenti e introduzione dei test e relativo magna-magna per accedere alle università, del blocco burocratico effettuato su tutti coloro che avessero un minimo di capacità imprenditoriale, di una persona che ha sempre svolto attività lavorative nel mondo privato senza dare importanza da contribuente a come i suoi caporioni pubblici spendevano perché al suo tempo la massa amorfa che viveva sulle spalle dei lavoratori era minima.
Non tutti siamo nati per lavorare, rilevo il crescente avanzare della categoria dei contemplativi.
contemplativi gaudenti
Se piuttosto spesso le cose italiche non vanno sempre benino la colpa e quasi sempre del raccomandante che ha messo il raccomandato dove non doveva stare.
Ciao fulvio
a Frà l'anonimo scrivente ha aperto una prospettiva non peregrina che merita l'approfondimento degli illustratissimi commentatori che bazzicano ner blogghe.
personalmente offro un modesto contribbuto
ER LAVORE
Nun vojjo lavorà: ccosa ve dole?
Pe sta vita io nun me sce sento nato.
Nun vojjo lavorà: mme sò spiegato,
O bbisoggna spregacce antre parole?
A ddiggiuno sò ffiacco de stajole;
E ddoppo c'ho bbevuto e cc'ho mmaggnato,
Tutto er mi' gusto è dde stà llì sdrajato
Su cquer murello che cce bbatte er zole.
Cuanno che ffussi dorce la fatica,
La vorìano pe ssé ttanti pretoni
Che jje puncica peggio de l'ortica.
Va' in paradiso si cce sò mminchioni!
Le sante sce se gratteno la fica,
E li santi l'uscello e li cojjoni.
Roma, 30 gennaio 1833
lavora chi ha fame, dicevano i contadini, però oggi nun è più accussì, la fame armeno nun fa più paura
i raccomandati hanno sempre rovinato tutto.. Mannaggia a loro
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