16 ott 2025

Fictions

Non vorrei apparire strano quando nei miei scritti pubblici continuo a ringraziare il grande Ponzio che se ne lavò le mani del sangue del Cristo (evitandoci tanti guai A NOI occidentali e di Roma), conoscendo molto bene con chi aveva a che fare, visto che gli conferirono il controllo della Giudea dieci anni prima ed in dieci anni di controllo sapeva benissimo usi e costumi del posto .

A me non piace esprimer giudizi (sparar cazzate) su cose di cui non conosco nulla o quasi al di là di bobboli eletti o autoeletti o pagani, per cui non capisco perché il nostro caro, amato, generoso, variegato, immaginifico bobbolo con tutti i cazzi sempre più grossi di cui deve farsi carico passa il tempo in cortei, tira sassate, stende bandiere dalle finestre, stabilendo poi che chi mostra la stella oggi è fascista anche se ieri li metteva nei forni crematori, mentre chi mostra l'altra sta a sinistra, escludendo tra l'altro il centro il magnifico centro che tanti ne dette di figli generosi.  Tutto ciò sicuramente sarà stato studiato a tavolino dai veri caporioni che gestiscono la comunicazione e che hanno trasformato la vita quotidiana dei loro sudditi in fictions e così, essendo io ancora in vita col mio partito degli under 70.000 nel cui programma si aboliscono le inutili elezioni amministrative (siamo al 38% di votanti con un 5% di bianche ed insulti), lasciando amministrare i commissari governativi, gente preparata e vincitrice di appositi concorsi invece di persone che non sanno nemmeno amministrare una famiglia ma con le chiacchiere fottono e scaricano 3.000 miliardi di debiti sui loro spasimanti. Con i commissari governativi poi si aboliscono tutti quei furti realizzati dai furbi caporioni piazzando parenti ed amici in quei posti dove si accede con le elezioni  e non con i concorsi e così pensavo di scrivere anch'io una fiction dove anche i parenti dei mortidifame potessero guadagnare dal sostegno popolare senza doversi alzare la mattina e recarsi  nei campi, una vita semplice magari, non ricca come quella dei vari consiglieri comunali provinciali regionali una fiction da pubblicare e che potrebbe prendere spunto da chi conosce bbene come fare soldi senza troppa fatica.

però sti sardi che forti, che vitalità

57 commenti:

Anonimo ha detto...

Forse hai ragione tu, fracatz: non siamo più dentro la realtà, ma dentro la sua fiction, scritta da sceneggiatori con contratto a tempo indeterminato e pubblico abbonato all’illusione di partecipare. Lo capisci dal fatto che ogni corteo, ogni indignazione da balcone o bandiera dalla finestra, serve solo a far girare l’episodio successivo. La trama è sempre la stessa: chi ieri mostrava la stella di Davide oggi la usa come arma retorica, chi gridava al fascismo oggi invoca l’ordine, chi predicava libertà oggi censura col pretesto della sicurezza. È una fiction lunga, con attori che cambiano solo costume. E il “bobbolo”, come lo chiami tu, resta seduto davanti allo schermo, convinto che il telecomando sia potere. In realtà, è il contrario: è il telecomando a cambiare lui. Il bello è che i “commissari governativi” che proponi come paradosso satirico potrebbero davvero sembrare un’idea rivoluzionaria a molti: basta guardare l’astensione record alle amministrative, la sfiducia cronica, la rassegnazione elevata a virtù. Mentre gli eletti si spartiscono i resti, parenti e amici entrano per cooptazione come se fosse un reality a porte chiuse. Fiction dentro la fiction: la Regione Lombardia con le sue “rimborsopoli” a cadenza regolare, i comuni che assumono consulenti “fidati”, i consigli che votano debiti fuori bilancio come se fossero puntate speciali di una telenovela locale. E intanto le vere decisioni passano altrove, nei consigli d’amministrazione delle società partecipate o nelle chat dei caporioni della comunicazione che decidono chi deve piangere e chi deve ridere. Hai ragione anche su Fabrizio Corona: non è un nome messo lì per caso, ma il simbolo della fiction come carriera, del guadagno senza fatica, dell’economia del visibile. Non si vendono prodotti, si vendono ruoli. Non si lavora, si interpreta. È la stessa logica che porta certi politici a costruirsi un profilo TikTok mentre il paese reale crolla a pezzi. E noi, spettatori disciplinati, continuiamo a credere che basti cambiare canale per cambiare realtà. Invece la sceneggiatura resta identica, scritta da chi controlla la comunicazione, come dici tu. Dovremmo iniziare a chiedere i nomi nei titoli di coda: chi finanzia, chi scrive, chi taglia le scene. Magari scopriremmo che gli autori veri non si candidano mai, perché governano già. La tua idea dei commissari, al netto della provocazione, fotografa una verità scomoda: l’unico sistema che ancora funziona è quello tecnico-burocratico, dove almeno si entra per concorso e non per comparaggio. Non è democrazia, ma almeno non è farsa. Forse sarebbe meglio un Paese governato da dirigenti con esame scritto e orale che da influencer eletti per numero di follower. Ma a dire il vero, neppure i commissari sono immuni: anche lì il nepotismo striscia, solo in versione curriculum. La verità è che abbiamo scambiato la trasparenza con la spettacolarità. Quando la politica diventa storytelling, la cittadinanza diventa audience. Ed è qui che la satira, come la tua, resta l’unica forma di giornalismo rimasta viva: perché almeno non finge di essere seria. Ti dirò: potremmo ribaltare la tua fiction in una proposta, almeno simbolica. Obbligo di pubblicare ogni incarico pubblico, ogni consulenza, ogni nomina familiare in chiaro — non nel formato pdf, ma in linguaggio leggibile da tutti. Rotazione obbligatoria per gli eletti, come per i magistrati, così nessuno si costruisce la sua parrocchia elettorale. E se proprio dobbiamo continuare questa fiction, che almeno i titoli di testa dicano chi la produce. Sui “sardi che forti”, ci sta: è la tua firma, la battuta che sgonfia la bolla e fa tornare tutto al piano umano. Ma dietro la risata resta la stanchezza di chi ha visto troppa tv e poca realtà. Per questo ti ringrazio, fracatz: continui a scrivere dal punto di vista dello spettatore disincantato, quello che ha capito che l’unica vera rivoluzione, oggi, è spegnere la fiction e guardarsi allo specchio.
G

Anonimo ha detto...

Bella la tua fiction, fracatz. Ma ormai il problema non è solo che viviamo dentro la fiction: è che la fiction è diventata governance globale. I caporioni di cui parli non stanno solo nei consigli comunali, ma nei consigli d’amministrazione delle piattaforme che decidono cosa è “visibile”, cosa è “odio”, cosa è “verità”. Il reality politico non è più locale, è un format internazionale. Prendi la Gran Bretagna: da quando è arrivata la Brexit, si governa a colpi di talk-show e hashtag, e il Paese che vantava la madre di tutte le democrazie oggi ha ministri che sembrano usciti da “Love Island”, solo con la cravatta. Negli Stati Uniti la sceneggiatura è già alla stagione otto: presidenti che twittano come influencer, candidati che fanno il loro debutto su TikTok mentre la Casa Bianca diventa set cinematografico per la serie “Democracy™”. La Francia poi, con Macron che parla di “riforme epocali” mentre Parigi brucia di nuovo, è la prova vivente che la politica non governa più, interpreta. L’Italia non fa eccezione, ma ci mette più colore: dal bonus edilizio trasformato in bolla speculativa alle riforme “epocali” che durano una settimana, ogni decisione sembra scritta da un copywriter di Netflix. Non stupisce che la gente non voti più: non per pigrizia, ma perché ha capito che il voto serve solo a scegliere quale serie guardare per altri cinque anni. Eppure l’illusione funziona ancora. Basta accendere un TG per vedere come la regia divide i ruoli: i buoni, i cattivi, il mostro del giorno. I conflitti internazionali vengono ridotti a script: il “popolo libero” contro “l’invasore”, la “democrazia” contro “il terrore”, e intanto si firmano contratti miliardari di armamenti in sottofondo. È la fiction perfetta, colonna sonora inclusa. In Giappone chiamano questa tecnica “infotainment”, ma noi l’abbiamo superata: ormai è governtainment. E chi prova a dire che il copione è truccato viene tagliato in montaggio. Il bobbolo non si accorge più di nulla, perché ogni indignazione viene subito monetizzata: il like è la nuova scheda elettorale. Altro che partito degli under 70.000, servirebbe un partito degli off-screen, di quelli che non appaiono, non postano, non mendicano visibilità. E i commissari che proponi tu, almeno, non recitano: fanno. Hai voglia a dire che la democrazia è partecipazione, quando l’unica partecipazione concessa è l’applauso. Guarda la Spagna: Sanchez sopravvive grazie a una coalizione di interessi incollata da media compiacenti, e il Parlamento sembra più un casting di “Elite” che un’assemblea. Tutto sceneggiato, tutto emotivo. Nessuno parla più di competenza, solo di narrativa. Persino le guerre sono scritte come serie TV: con il “fronte buono”, il “leader eroico”, le lacrime e il merchandising. Ti ringrazio, fracatz, perché almeno tu la chiami col suo nome: fiction. Ma ormai non è più intrattenimento, è anestesia collettiva. E il pubblico, invece di spegnere, chiede la seconda stagione.
Filomena

Sara ha detto...

Interessante questa esigenza di passioni, magari anche uno psicologo potrebbe aiutarci a capire.

Andrea ha detto...

Oh Fracatz, stai attento. Perché certe righe, oggi, non sono più solo parole: sono lame. E tu lo sai, perché scrivi come chi non ha paura di tagliarsi. Ma là fuori non tutti leggono, molti reagiscono. E quando la satira tocca i fili dell’alta tensione, quelli che alimentano denaro, politica, nomi che non si devono pronunciare, può arrivare la scossa. Guarda Ritucci, guarda che aria tira intorno al caso Kinko: basta toccare un nervo scoperto e subito qualcuno decide che hai parlato troppo. Non serve più il manganello o la censura: oggi basta un “incidente”, un avvertimento, un silenzio imposto. È la democrazia dell’intimidazione: ti lasciano libero, ma col fiato corto. Tu però, fratello, continua a scrivere, ma fallo con l’occhio sul mondo e l’altro sulla via d’uscita. Perché i tuoi post non sono fesserie da bar, sono detonatori travestiti da risate. E la gente seria, quella che campa sulle bugie, non sa ridere. Attento a non diventare troppo vero in un Paese che preferisce le fiction. Le parole come le tue disturbano, e disturbare, oggi, è un mestiere che non paga. Ma è anche l’unico che serve.

fracatz ha detto...

grazie andrea per i tuoi consigli, ma come vedi scrivo solamente qui dove mi leggono a fondo solo 2 o 3 persone, certo mi dispiace per il mio partito degli under 70.000 anche perché non ho più l'età per farmene una colpa, infatti se leggi bene nel suo programma, è concesso l'onere del voto solo a coloro che pagano contributi all'inps o altro ente previdenziale ancora in vita

Andrea ha detto...

Fracatz, il fatto che ti leggano “solo due o tre” non è una consolazione, ma una prova di purezza. Perché oggi essere letti da pochi è la sola garanzia di dire qualcosa di vero. Lo spazio ristretto non ti protegge, però: le onde corte arrivano lontano, e anche un sussurro può dare fastidio a chi vive di rumore. Il tuo “partito degli under 70.000” fa sorridere, ma dentro c’è la ferita vera: quella di un Paese che ha messo il prezzo anche alla dignità, che pesa tutto, pure le opinioni, in base ai contributi versati. Continua a scrivere come fai, ma ricorda che certe righe non restano mai confinate a un blog: viaggiano, si depositano nelle coscienze, e a qualcuno prima o poi prudono. Non è un avvertimento, è una constatazione: chi tocca la verità, anche solo per ironia, finisce sempre per disturbare. E disturbare, tu lo sai meglio di me, è la sola forma di onestà rimasta.

allegropessimista ha detto...

Quello che stava e succede a Gaza era inaccettabile e non ce la possiamo cavare che sono cazzi loro. Questo era lavarsi le mani col sangue di innocenti
Piano piano non servirà più andare a votare, già adesso qualsiasi governo deve sottostare a ordini che arrivano da entità superiori internazionali

fracatz ha detto...

sì, però, devi tener presente che il fatto dei bbobboli eletti dopo 3000 anni fa un po' ridere, occorrerebbe un grosso rifiuto dal basso, insomma i francesi si ribellarono nel 1700, nojos nel 1800, ma questi so' proprio convinti della loro superiorità democratica e demografica, e per fortuna che se scanneno tra de loro.
Grazie Ponzio

Il Vetraio ha detto...

Io mi sento bene perché da almeno 30 anni so mettere sul piatto giusto della bilancia gli ebrei.
Non mi interessa più cosa siano la destra e la sinistra.
Non mi faccio toccare dai discorsi elettorali.
Tengo ben presente cos'ho visto a Gaza e a Tel Aviv.
Rimugino su ciò che si legge sulla Bibbia, libro che tutti invocano senza mai averlo letto.
E non ci si rende conto che è un libro di guerra, prevaricazione e genocidio, che di Dio non parla mai.
Di lì, tutte le considerazioni su israele di oggi.
Un mio docente diceva: israele porterà pace sul pianeta solo quando sparirà. Israele, non il pianeta.

fracatz ha detto...

aòh, rigazzzi, qui se stamo a giocà puro la Campania, ma ve rendete conto, qui le portrone caleno, li fiji nun magneno
https://www.dagospia.com/politica/in-campania-partita-e-aperta-clemente-mastella-bisticcio-continuo-fico-450973

Andrea ha detto...

In Campania va in scena il solito teatrino: il centrosinistra che si lacera da solo, De Luca che non vuole andarsene e Fico che prova a entrare ma deve chiedere il permesso. È come se alla fine di un film, quando il protagonista dovrebbe morire da eroe, decidesse invece di restare nei titoli di coda, con la mano sul microfono, a spiegare che senza di lui la storia non si capisce. De Luca non può ricandidarsi, ma pretende di restare il regista occulto della Regione, il garante della “continuità” parola che in Campania ormai suona come “eternità”. Dall’altra parte c’è Roberto Fico, l’ex Presidente della Camera, mandato a incarnare la novità del “campo largo”, il volto pulito del progressismo che sogna la Campania trasparente, etica, partecipata, ecosostenibile e magari anche con meno buche per strada. Solo che per candidarsi ha dovuto passare sul corpo del vecchio sceriffo, che non si toglie il cappello nemmeno davanti al plotone d’esecuzione. La trama è chiara: Fico vuole discontinuità, De Luca gli spiega che la discontinuità è una parola inventata dai dilettanti. Fico impone un codice etico per i candidati (“niente rinvii a giudizio, niente ombre”), e i deluchiani lo leggono come un insulto personale. De Luca organizza una lista civica con il suo nome nel simbolo (“A Testa Alta/Con De Luca”), ma quando il M5S minaccia di rompere tutto, lo toglie: il nome sparisce dal logo, ma resta inciso ovunque, nei corridoi, nei telefoni, nei dirigenti del PD che tremano appena sentono la parola “Campania”. È il governatore che non se ne va mai davvero, il personaggio che si scrive la sceneggiatura anche quando non è più nel cast. Intanto i sondaggi dicono che Fico piace, ma la coalizione no. Il centrodestra, Cirielli in testa, osserva e aspetta, pronto a raccogliere i voti dei delusi, degli orfani deluchiani, degli indecisi cronici che in Campania sono più dei pendolari. Il resto è rumore: Fico parla di trasparenza, De Luca di concretezza; Fico sogna la Campania nuova, De Luca rivendica la Campania costruita con “la serietà”, traduzione: “non toccatemi la sanità e le nomine”. Tra i due, il PD fa da equilibrista sul filo del potere, con la paura che alla fine cada la tenda e resti solo la platea a ridere. Il campo largo campano è così: largo per entrare, stretto per convivere. Da un lato chi promette “partecipazione civica”, dall’altro chi ha già prenotato tutti i posti a sedere. Ogni giorno esce un comunicato: Fico invita all’unità, De Luca risponde che l’unità va bene, ma solo se la decide lui. È il matrimonio forzato tra il politico che non muore mai e il moralista che non può nascere. E mentre discutono di liste, codici etici e simboli, la gente guarda, scuote la testa e pensa che forse il vero codice da scrivere sarebbe quello della realtà: una sanità che funzioni, strade senza crateri, giovani che non emigrano, amministratori che lavorano più di quanto parlano. Ma questo, in Campania, sarebbe davvero troppo rivoluzionario. Meglio allora continuare così: De Luca che fa il fantasma del potere, Fico che cerca di dargli la benedizione, e il centrodestra che sorride come chi ha già capito che vincerà non per merito, ma per stanchezza altrui. Un copione perfetto per una commedia all’italiana: il regista non se ne va, l’attore nuovo inciampa, e alla fine il pubblico applaude solo perché la musica è finita.

Andrea ha detto...

Per finire abbiamo Mastella, anche quando sembra non esserci, in Campania c’è. È il vero termometro del potere: non misura la temperatura politica, la decide. A Benevento fa il re, a Napoli il cardinale, a Roma il notaio delle alleanze. Quando tutti litigano, lui sorride: ha capito che in Campania chi resta fermo al centro vince sempre, perché gli altri corrono in tondo. Nel caos tra De Luca e Fico, Mastella è il vero ago della bilancia: si presenta come il “moderato responsabile”, ma la sua è un’arte antica, quella di chi fiuta l’odore del vincitore prima che vinca. Ha già fatto sapere che non si farà ingabbiare da nessuno: se il campo largo implode, lui si sposta di qualche metro e diventa “campo utile”; se il centrodestra cresce, trova il modo di sedersi a tavola anche lì. È la flessibilità fatta carne, la democrazia in versione fisiologica. Il bello è che tutti lo sanno e nessuno lo dice: Mastella non si allea, si eredita. Ogni volta che un nuovo leader arriva in Campania, prima o poi deve bussare alla sua porta, o almeno fingere di averlo fatto. Anche Fico, quello della “trasparenza”, dovrà capire presto che senza un Mastella di riserva, in Campania non si governa neanche un condominio. De Luca lo sa bene, e lo rispetta: perché dietro ogni duello tra progressisti e moralisti, tra codici etici e simboli ritirati, c’è sempre lui, il vero mediatore, quello che sopravvive a tutti, governa Benevento come fosse il Vaticano e parla di etica politica mentre prepara la prossima mossa.
In questa commedia campana, De Luca è l’attore protagonista che non vuole uscire di scena, Fico è il giovane idealista che si impappina al primo ciak, e Mastella è il tecnico delle luci che decide chi resta illuminato e chi scompare nel buio. Il tutto con il pubblico che ride amaramente, sapendo che il finale è già scritto: in Campania, alla fine, vince sempre chi non ha mai perso tempo a credere nelle parole “nuovo” o “vecchio”, ma solo in quella più concreta di tutte, “utile”.

Anonimo ha detto...

Che belle fictions da seguire tutte d'un fiato.
G

Anonimo ha detto...

Purtroppo Andrea la Campania non è un’eccezione: è solo lo specchio più chiaro di un fallimento nazionale. Quello che lì si manifesta in modo teatrale tra clientele, faide e professionisti del consenso, altrove si consuma con la stessa logica, solo più in silenzio. L’Italia intera è diventata una rete di feudi politici, dove si amministrano voti, non idee. Le regioni, nate per avvicinare il cittadino allo Stato, sono ormai mini-Stati personali, con le loro caste, i loro eterni riciclati, i loro “signori delle preferenze”. In Campania questo sistema è solo più esplicito, ma l’aria è la stessa ovunque: Lombardia, Sicilia, Lazio, Puglia. Il sistema va rifondato, e non con l’ennesima legge elettorale o una sforbiciata ai consiglieri. Quello serve solo a cambiare i nomi sui manifesti, non il modo in cui si esercita il potere. Serve un terremoto vero: separare la politica dall’amministrazione, togliere dalle mani dei partiti la gestione di appalti, nomine e fondi pubblici; finanziare la politica in modo pulito e trasparente, perché la corruzione prospera proprio dove si finge di fare tutto “per spirito di servizio”; e introdurre la responsabilità personale: chi sbaglia per dolo politico o per negligenza paga, come qualunque dirigente d’azienda.
Il punto è semplice: non c’è un problema campano, c’è un problema italiano. Abbiamo costruito un Paese dove il potere locale è diventato rendita, e la politica nazionale vive solo per non perderla. Finché chi governa non rischierà nulla e chi vota si accontenterà di un favore invece di pretendere una visione, il cambiamento resterà un esercizio retorico. O lo Stato torna una cosa seria, o continueremo a guardarci nella Campania come in uno specchio deformante che, purtroppo, ci mostra esattamente la nostra vera faccia.
G

Andrea ha detto...

Si G...separare la politica dall’amministrazione. I politici devono fare politica, cioè visione e indirizzo. La gestione quotidiana, gare, appalti, nomine, fondi europei va tolta dalle mani dei partiti e affidata a corpi tecnici indipendenti, con trasparenza totale e accesso pubblico ai dati.

fracatz ha detto...

oh, finalmente 2 che ci sono arrivati, fine alle elezioni amministrative italiane e largo ai commissari governativi.
le elezioni politiche restano ma possono votare solo coloro che versano contributi all'inps o altro ente previdenziale, cioè coloro che sostengono il peso della nazione

Anonimo ha detto...

Si Fracatz, ma prima bisogna fare una piccola "rivoluzione". Il problema è che la riforma dovrebbe essere fatta da chi trae vantaggio dal non farla. È come chiedere al medico corrotto di chiudere la clinica dove vende le ricette. In Italia, la trasparenza non manca per difetto di strumenti, ma per assenza di volontà politica: ogni volta che si propone un controllo indipendente, il potere lo addomestica o lo svuota. E allora, sì, serve una “rivoluzione”, ma non romantica: serve una rivoluzione di metodo, civile e costante. Il cittadino oggi ha due armi "l’informazione e la partecipazione" ma le usa come fossero optional. Invece devono diventare obbligo morale. Bisogna costringerli al cambiamento, con la pressione pubblica, con la vigilanza collettiva, con l’esempio pratico. In altri Paesi questo è avvenuto: in Islanda, dopo la crisi del 2008, i cittadini riscrissero la Costituzione dal basso, senza intermediari politici. In Danimarca, ogni appalto pubblico è visibile online in tempo reale, e chiunque può verificare come vengono spesi i soldi. In Estonia, lo Stato digitale non è uno slogan: ogni cittadino può vedere chi ha consultato i propri dati e perché. In Svizzera, i referendum non sono folclore, ma correttivo strutturale: se il Parlamento deraglia, la società lo riporta in carreggiata. Da noi, invece, l’idea di trasparenza è diventata uno slogan elettorale, e la partecipazione un fastidio da sopportare ogni cinque anni. Bisogna ribaltare la logica: la pubblica amministrazione deve rispondere ai cittadini come un’azienda risponde ai suoi soci. Ogni spesa, ogni nomina, ogni appalto dev’essere tracciato e accessibile in formato digitale. Nessuna delibera dovrebbe poter essere approvata senza pubblicazione integrale dei dati.
E qui entra in gioco la “rivoluzione” possibile: quella culturale. Creare piattaforme civiche indipendenti che monitorano le istituzioni in tempo reale, giornalismo d’inchiesta finanziato dai cittadini, associazioni che agiscono come “cani da guardia” permanenti del potere. È successo altrove, può succedere anche qui ma serve la massa critica, la coscienza collettiva che smette di pensare “non cambia nulla” e comincia a dire “non cambia se non lo costringiamo a cambiare”. Il potere, da solo, non si riforma. Si riforma solo quando la società lo incalza, lo mette sotto luce costante e non gli lascia più spazi d’ombra. È questo il punto: in Italia non servono nuovi politici, servono cittadini che sappiano fare politica anche senza una poltrona. Solo allora, anche chi oggi occupa quelle poltrone capirà che non comandano più indisturbati, ma sono, come dovrebbe essere da sempre, semplici servitori temporanei di una cosa più grande di loro: la Repubblica.
G

Andrea ha detto...

Giornalismo d'inchiesta finanziato dai cittadini. Bella questa G...

Anonimo ha detto...

Si Andrea, non fare l'errore di buttarti su conflitti destra/sinistra, fascisti e comunisti che non esci più da queste trappole. Il giornalismo d’inchiesta finanziato dai cittadini è la vera rivoluzione possibile. Perché il problema non è solo chi governa, ma chi racconta il potere. In Italia i media non fanno da specchio alla realtà: la riflettono solo nella direzione del loro padrone. Troppi giornalisti sono diventati portavoce camuffati, impiegati di redazioni che vivono di pubblicità politica, di inserzioni pubbliche, di “rapporti istituzionali” che ammorbidiscono la penna. Così il giornalismo non controlla più il potere: lo accompagna. Un giornalismo libero, sostenuto direttamente dai cittadini, cambierebbe tutto. Niente più padroni, niente più padelle e fritture mediatiche: chi scrive risponde solo a chi legge. E non sarebbe un’utopia: esempi concreti ci sono già. Negli Stati Uniti ProPublica vive di donazioni pubbliche e ha fatto cadere ministri. In Olanda Follow the Money è una redazione finanziata dai lettori che ha svelato corruzioni e scandali fiscali. In Francia Mediapart, fondato da Edwy Plenel, vive solo degli abbonamenti dei cittadini e ha fatto tremare presidenti e governi. Perché funziona? Perché un giornalista che dipende dal lettore, e non dal politico o dallo sponsor, ha tutto l’interesse a essere onesto, ostinato e implacabile. È l’imprenditore della verità: guadagna solo se il suo lavoro serve davvero alla collettività. Non deve più inginocchiarsi davanti a un direttore nominato da un gruppo industriale o a un editore con un partito in tasca. Immagina cosa accadrebbe in Italia se anche solo diecimila cittadini, invece di pagare l’ennesimo abbonamento a un giornale “di linea”, finanziassero un’inchiesta libera sui fondi pubblici o sugli appalti regionali: sarebbe un terremoto civile. Non servirebbero più i talk show, né i “retroscena” pilotati. Tornerebbe il giornalismo che illumina, non quello che intrattiene. Questa è la vera forma di democrazia diretta: un’informazione che risponde al cittadino, non al potente. Perché finché la verità resta in mano a chi ha interesse a distorcerla, non esiste riforma che possa funzionare. Ma se la verità torna a essere un bene comune, allora sì, lo Stato può tornare una cosa seria, e chi lo guida saprà di avere addosso l’unico controllo che non si può corrompere: quello di un popolo informato.
G

Andrea ha detto...

Quindi G e la corresponsabilità che da la forza, vero?

Anonimo ha detto...

Esatto Andrea, perché se un’inchiesta viene finanziata da cittadini, quei cittadini diventano parte attiva del controllo democratico. E qui sta il punto decisivo: quando un personaggio pubblico viene colto in fallo e condannato, non trova più la protezione dei colleghi, dei direttori compiacenti o dei salotti mediatici che lo riciclano. A difenderlo non resta nessuno, perché l’opinione pubblica informata non perdona. Chi ha contribuito all’inchiesta, chi ha messo anche solo dieci euro per scoprire la verità, sente quella verità come propria e se prova a tornare in scena il politico corrotto o il manager infedele, trova davanti a sé la voce di chi lo ha smascherato: la società civile. È questo il vero cambio di paradigma: un giornalismo che non chiede il permesso, ma lo toglie, che non mendica spazio, ma se lo conquista, che non accompagna il potere, ma lo costringe a rispondere. Solo allora la democrazia potrà respirare davvero, perché la libertà non nasce nelle redazioni compiacenti, ma nel coraggio di un popolo che decide di pagare, con le proprie mani, il prezzo della verità.
G

Anonimo ha detto...

Chiudo Andrea...buona serata.

Andrea ha detto...

Ciao G :)

Anonimo ha detto...

Il fatto che leggano due o tre e ne scrivano altri tre in uno ,altro che consolazione e/o purezza .Non va bene e perde anche il significato di ciò che potrebbe averne uno scritto .Cosa è un modo per prendersi in giro o prenderci in giro?

Anonimo ha detto...

Buonanotte!

Anonimo ha detto...

Hai bisogno di scrivere in anonimato mentre parli di purezza? Già questo dice molto. Quanto al “prendersi in giro”, l’ho già spiegato altrove: G + A sono una sola persona, non un gioco di maschere. Non sto ingannando nessuno. Semmai, è curioso che chi si scandalizza per le identità altrui non si scandalizzi per la mancanza di idee proprie. A certi di voi non va mai bene nulla: né la forma, né il contenuto, né chi lo scrive. Ma intanto, mentre vi perdete in sospetti e sottili moralismi, il mondo continua a bruciare e non per colpa delle iniziali.
G

Anonimo ha detto...

Un interrogativo classico come risposta al nervo scoperto.
Già questo dice molto.Sarebbe stato più facile per te subire l'inganno di un lettore che tace davanti una evidente forma di conflitto interiore, dove voler rispondere a A non è come rispondere a g che risponde a A e viceversa.Permetti che possa venire percepita un po di confusione ?Una fiction pure questa o no ?
La purezza implica una forma di trasparenza in cui non c'è bisogno di un dibattito interno tra diverse parti di sé, a differenza di un dialogo che coinvolge opinioni e commenti distinti.
La coerenza può averne anche l'anonimo se dall'altra parte si ha un'apertura mentale che non si limita a colpire su un evidenza che non accetta.
La coerenza è una qualità che non dipende dall'identità di una persona, ma dall'allineamento tra le sue idee, le parole e le azioni.Scandalizzarsi per le identità altrui ,mi pare eccessivo ,forse una sottoforma di alzare i toni o di aspettarsi una reazione pari alla tua ,per destare attenzione o avere audience verso un pubblico sempre pronto a certe forme di dibattiti ,che in fin dei conti non creano un bel nulla .
"A certi di voi...etc"
Come te la cavi nel contraddittorio sempre con questa forma generalizzata e pregiudizievole .

La mia è stata una fondata osservazione ,grazie comunque perché in qualche modo ho recepito la tua onestà.

fracatz ha detto...

ahahahahhhh hai fatto il quadro di quel caporione che si beccò quella mazzata in capo dalla sua amichetta e che ce fece sbellicà dalle risate, tanto che i suoi amichetti lo destituirono e lo buttarono in rai2 che lo piazzò fisso a Parigi da dove continua a rallegrarci ogni giorno visto che semo NOI contribuenti a pagà er tutto.
Mo pare che voglia armeno un pezzo de Campania, le risate Gianluì, le risate, chissà che ne penza er nostro santo padre maximo

Anonimo ha detto...


Ahahahah… il ministro della Cultura che ha lasciato più “commedia” che cultura. Prima la scenetta con la “mazzata” sentimentale, poi la fuga dorata a Parigi da dove, a spese nostre, continua a dispensare lezioni di sobrietà repubblicana con vista sulla Tour Eiffel. È curioso come in Italia ogni figuraccia diventi promozione: chi cade si rialza, ma sempre su un volo di Stato. Ora pare che voglia anche un pezzo di Campania, giusto per completare il tour personale tra ridicolo e rendita. Il vero miracolo è che riesca ancora a parlare di valori, patria e identità dopo essersi fatto spedire in esilio con vitto e alloggio pagati dai contribuenti. Ma d’altronde, siamo il Paese dove la vergogna non è mai una punizione, ma un passaggio di carriera.
G

Anonimo ha detto...


Curioso come certi si credano analisti di anime altrui e, nel tentativo di “smontare” chi scrive, finiscano solo per dimostrare quanto poco comprendano la differenza tra un confronto e un sospetto. Si può essere anonimi e trasparenti allo stesso tempo: la coerenza non dipende da un nome, ma da ciò che si dice e dal modo in cui lo si sostiene.
È un po’ comico pensare che il vero problema diventi “chi è chi”, quando basterebbe leggere “che cosa dice”. La purezza, se di questo parliamo, non è nell’assenza di contraddizioni ma nel non barare con se stessi. Io non cerco audience, e tantomeno approvazione: mi basta sapere che ogni parola che scrivo non è un travestimento ma una forma di verità, anche quando è scomoda.
Il resto, le supposizioni, le dietrologie, le pseudoanalisi lascio che si perdano nel rumore di fondo.
G

Anonimo ha detto...

Che dire se non che in questo altro commento si sia solo "smontato il mistero per servirsene a freddo" (cit. Il grande Pavese).
Io ti ho solo fornito l'occasione di guardarti in maniera distaccata .Buon per te che ti prendi in parola con una forma di verità anche quando è scomoda,sapendo di non mascherati.





Anonimo ha detto...

Signora Anonima...penso si possa concludere. Come scrivi sempre...buona vita.

Anonimo ha detto...

A volte è curioso notare come chi si affanna a misurare l’altrui “purezza” finisca per inciampare proprio nella propria ossessione di chiarezza. Ma la scrittura, quella vera, non è un tribunale dove si verifica l’identità dell’imputato: è un territorio di ombre, di passaggi di voce, di parti che dialogano e si contraddicono. È lì che nasce la sostanza di un testo.
Ci si perde a distinguere G da A, come se l’uno e l’altro non fossero semplicemente due modi diversi di dire la stessa inquietudine. La coerenza non è nel nome ma nel tono, nel battito che resta uguale anche quando cambia voce. L’anonimato, poi, non è un sotterfugio: è uno spazio di libertà in un tempo in cui tutto è schedato, etichettato, firmato col sangue. È anche un modo per lasciare che a parlare sia solo la parola, non chi la pronuncia. Forse sfugge un punto: la fiction non è menzogna, è un modo per dire la verità senza restarne schiacciati. Chi scrive sa che ogni parola è già una maschera, anche quando è sincera. È il lettore che decide se quella maschera illumina o nasconde. La trasparenza totale è un’invenzione dei puritani digitali: nei luoghi veri della scrittura, la verità passa sempre attraverso un artificio, un gioco di specchi, un piccolo rischio di confusione. Ed è lì che, a volte, si rivela di più.
G

Anonimo ha detto...

A e g ,e poi ci si mette pure l'AI di traverso.Siamo fottuti a livello di originalità e via al plagio.Sta fissazione con la "purezza" che con gli algoritmi non ha nulla a che vedere.L'algoritmo però non ha un identità ,noi si.
Grazie e buona vita

Anonimo ha detto...

Mai piaciuto prendere in giro,ma visto che ci tieni così tanto:🤣🤣🤣🤣🤣

Anonimo ha detto...

Buongiorno...nottataccia.

Anonimo ha detto...

Che sia una buona vita definitiva. Lo fai spesso ma come una cagnolina bastonata ti fai vedere, qui come in altre parti. Sei molto coerente...forte personalità.
G

Andrea ha detto...

Vedi, il problema non è l’algoritmo, ma chi lo teme più della propria incoerenza. L’originalità non muore per colpa dell’intelligenza artificiale, ma per pigrizia umana. L’AI, per quanto fredda, non ruba le idee: le riflette, e spesso restituisce a chi scrive la misura esatta della propria voce, o del suo silenzio. Quanto alla “purezza”, lasciamo perdere: non è una virtù, è un’ossessione da laboratorio. Gli esseri umani nascono impuri, si contaminano, si confondono, e meno male. È da quella mescolanza che nasce l’unica vera forma d’arte possibile. Buona vita a te, e non preoccuparti: finché c’è chi pensa, anche un algoritmo può imparare a distinguere il plagio dall’eco.

Anonimo ha detto...

Eh, caro Fracatz… tutta colpa tua. Ti ho lasciato che inveivi contro le femministe vegane e ti ritrovo in dolce compagnia, forse a condividere un centrifugato di barbabietola e contraddizioni. Chissà che non sia l’amore a salvarci tutti, alla fine...o almeno a fregarci con più eleganza.
Vediamo le prossime puntate: magari ti scopro mentre difendi la quinoa come simbolo di libertà. In quel caso, giuro che mi iscrivo a un corso di yoga solo per starti dietro.
G

Andrea ha detto...

Bravo ragazzo, Fracatz… un vero uomo del Sud: cuore grande, mano tesa, e quella generosità che ti offre pure il caffè mentre ti prepara l’orazione funebre. Ormai ha una tale dimestichezza con i funerali che, quando commenta nei blog altrui, la gente non sa se lo fa per la scrittura o per l’allenamento emotivo.
C’è chi apre Substack, lui apre la camera ardente virtuale. Appena sente la parola “addio”, si illumina come un lampione a lutto. Forse è un modo poetico per sentirsi vivo… o forse sogna di diventare il primo influencer del trapasso. In ogni caso, caro Fracatz, se un giorno decideranno di far pagare l’ingresso ai funerali, tu sarai l’abbonato numero uno, con tanto di tessera premium e diritto alla parola finale.

Anonimo ha detto...

Ahahahah...meno male per lui altrimenti sarebbe un mortorio. Lo stimo...un grande.

Anonimo ha detto...

Tu non hai bisogno di riflettere,di pause e di silenzi ,sei come un fiume in piena ,due sole righe sincere di un qualsiasi interlocutore ,ti bastano nel manifestarti attraverso il desiderio incontenibile di comunicare .I dieci commenti in risposta lo dimostrano.Va bene e,solo che sei alquanto suscettibile e condizionato da ciò che asserisci sugli "ipotetici " analisti dell'anima divenendo te stesso analista effettivo.Cagnolina bastonata è ad esempio il tuo dare un identità contraddittoria anche al partito politico di cui fai parte.Mi fa paura la tua conoscenza su di me e la tua verità assoluta che dà all'occhio per quanto sei compiuto .Io a differenza di te sto ancora sbagliando e non ho certezze assolute .le fonti come la tua mi stimolano ad osservarmi per avanzare un passo indietro .altro che algoritmi e AI.

Anonimo ha detto...

Fracatz mi sa che oltre a dirti di aver preso na cantonata ,dovresti aprire un post diverso dal bobbolo tanto nominato ,credo che ha cambiato ormai direzione
Ti suggerisco un nuovo titolo ,diciamo più culturale

Cosa ci insegna Pirandello?

Anonimo ha detto...

Eccolo l’altro anonimo, quello con la vocazione da editore e il vizio del consiglio non richiesto. “Cosa ci insegna Pirandello?”, dici? Beh, proprio che dietro ogni “anonimo” si nasconde un personaggio in cerca d’autore… e spesso anche d’attenzione. Quanto al “bobbolo”, tranquillo: cambia direzione solo chi ha un percorso. Gli altri restano fermi al semaforo della loro stessa opinione, a dire agli altri dove dovrebbero andare. Pirandello, semmai, ci insegna che la maschera non è una colpa, è un modo per sopravvivere alla noia di chi crede di aver capito tutto.
G

Andrea ha detto...

Ahahahah ma certo, di “starci dentro” al corollario di Fracatz, come dite voi, lui sì che ci sta. E si è costruito da solo, senza le vostre pose da cattedra o le solite pacche sulla spalla tra “spiriti liberi” di tastiera. Se avesse avuto la vostra mentalità chiusa e quel vizio di confondere l’ironia con la superiorità, sarebbe rimasto qui dentro solo ad offendere, come fate voi da anni. Noi, invece, abbiamo commentato come sempre sul piano civile, quello che evidentemente non vi appartiene. Vi riempite la bocca di parole come “dialogo”, “purezza”, “riflessione”, ma appena qualcuno vi sfiora le certezze, scatta l’istinto da branco. E allora sì, siete dinosauri: enormi, rumorosi e incapaci di capire che la civiltà si misura da come si risponde, non da quanto si ruggisce.

Anonimo ha detto...

Pirandello,uno Nessuno,centomila.
Per quanto hai contestato il sig.Nessuno altrove.qui ne sei una copia

Anonimo ha detto...

Ahahah...fotocopie puoi fare a Fracatz. Non sei riuscito Nessuno...qui devi stare con me.

Anonimo ha detto...

No, ditemi che è una fiction, vi prego. Non posso credere a quello che ho appena letto dall'anonimo delle 10:01 Mi rifiuto di pensare che qualcuno possa scrivere simili perle d’autocompiacimento credendo pure di fare filosofia da bar. Ogni volta che sembra si stia parlando di idee, ecco che spunta l’ego, travestito da profondità. Ma se è davvero tutto reale, allora non siamo in un blog, siamo in una seduta di psicodramma collettivo.
Filomena

Anonimo ha detto...

Ciao Filomena, non so risponderti. Come hai notato ho commento civilmente e sono stato attaccato senza motivo. L'ultimo mi ha paragonato a un soggetto che è meglio perderlo di vista, con l'ennesima citazione rapida: “Pirandello, uno, nessuno, centomila”… e stop. Sempre la stessa posa da liceo stanco, usata come scudo per dire nulla con aria profonda.
Menomale che ho commentato civilmente come scritto poc'anzi perché qui dentro basterebbe una virgola fuori posto per scatenare i moralisti del niente.
G

Anonimo ha detto...

A o g non mi dire che sei stato attaccato per favore, perché su questo post hai generato così tanti anonimi da confondere chi ha commentato civilmente e chi per sostenere le sue idee si è fatto creatore e sostenitore di se stesso.Cadono sospetti pure su Filomena, sarà uscita fuori da una vecchia opera teatrale di de Filippo.
André ma fai tutto sto casino e ti "mascheri " vittima ,ma de ché ,ma de chi?
Diciamolo va ,che l'unico a conoscervi bene è stato proprio lui il maestro Pirandello ,ma come faceva a conoscere così bene l'animo umano che è rimasto sempre lo stesso dell'Ottocento?
Non ho capito cosa bisbigli?Cosa?
E c'hai ragione dall'ottocento ad oggi l'animo si è proprio perso per inseguire le fiction.A proposito a che puntata siamo arrivati?
A ,g,anonimo, Filomena vi saluto ad uno ad uno che siete sempre uno,nessuno e centomila.

Andrea ha detto...

Ovvio, certo...doveva pur esserci un colpevole, e quale bersaglio migliore se non quello che ha mantenuto la calma?Dopo la battuta di cattivo gusto del tuo compare, che ha messo in ridicolo tutto il gruppo, era inevitabile che qualcuno cercasse un capro espiatorio. E così eccolo: io. Che squallore, davvero. Il classico copione di chi, invece di prendersi la responsabilità delle proprie parole, preferisce puntare il dito.
Ma non preoccuparti: non è rabbia, è solo prevedibilità umana. In certi ambienti, quando finisce l’argomento, comincia l’accusa. Curioso come 'uno, nessuno e centomila’ diventi il vostro modo per moltiplicarvi in anonimi. Io almeno ci metto le iniziali, voi le maschere.

Anonimo ha detto...

Tranquillo Andrea... Mi ricordo quando entrai anch’io in Anonimo, per una decina di giorni. Commentavo sempre civilmente, ma il mio pensiero non era allineato come quello loro. Ricordo che fracatz non sapeva più che dire, come se avesse paura che pensaste fosse lui il “secondo anonimo”.
Fu lì che capii una cosa: che il mio amico fracatz, in fondo, non è libero come pensavo.
Ecco perché... se incrocio uno di voi, mi venite addosso tutti.
G

Andrea ha detto...

Ahahah… quando hai scritto che A e G erano tutt’uno da Franco, l’ho sentito quasi il sospiro di sollievo. Che brava persona, davvero. Un vero uomo del Sud: cuore grande, sempre pronto a dare un braccio… purché sia per aiutare uno dei suoi. Gli altri, invece, meglio eliminarli con un sorriso. È così che si fa, no? Con stile.

fracatz ha detto...

ahahahah, da primo sei diventato ultimo, però era più divertente quando c'era la silvana ben 11 anni orsono e poi quella era proprio una vera fimmina.
Mizzica, se ne son andati più di 10 anni, non parliamo più di fica, ma le risate ci mantengon sani

Anonimo ha detto...


Certo che mi ricordo, altri tempi davvero. Per fortuna almeno a fine post ci metti ancora quei link “educativi” che piacciono tanto a noi maschietti. Mi ricordo anche le tue top ten musicali… e la mia fissa per i Negramaro. Vedi? Un po’ di romanticismo sopravvive persino qui dentro, tra una risata e una citazione di Pirandello. :)

Anonimo ha detto...

Mi sono dimenticato le iniziali...non si sa mai cosa può succedere per questa svista :))
G

Anonimo ha detto...

Quale sarebbe questa prevedibilità umana e chi sarebbe questo compare e ancora a cosa ti riferisci con vostro modo di moltiplicarvi in anonimi?
Che fine ha fatto la cagnolina bastonata?
Vedo andar in frantumi la certezza e la verità dietro il vano tentativo di avere una rivelazione dimostrativa dietro la maschera che non porto ma che tu vedi in me.
Tanto per sintetizzare: la confusione che puoi creare in altri (iniziali a parte,verso chi non sa che interagisci con te stesso su un post) diventa inevitabilmente tua ,non so se ne hai un idea adesso.Siamo persone Andrea ,basterebbe anche solo questo per aprire un dibattito costruttivo .