10 giu 2025

Soldi buttati, ancora una volta

 Pure questa volta siam sopravvissuti, il referendum è andato, i lavoratori ai seggi si son messi in tasca qualche solderello per ben due giorni di duro lavoro e speriamo che gli studenti ed i disoccupati ne abbiano approfittato.
Ma come si fa, dico io, come si fa a buttare i soldi dei contribuenti per un referendum, quando ormai anche alle politiche, che sono le uniche elezioni importanti che anche NOI del partito degli under 70.000 abbiamo nel programma, anche alle politiche si raggiunge a malapena un'affluenza del 50% ?
E poi sputtanarsi da tutti i pulpiti quando bastava anche un bambino e non solo la Meloni a prevedere come sarebbe finita. Ora tutti sappiamo cosa recitano i nostri codici e cioè raccolte le firme e convalidate, se il referendum raggiunge il quorum, allora agli organizzatori viene rimborsata la somma delle spese sostenute  per la campagna referendaria, fino ad un massimo di un milione di euro. NOI matematici e democratici del partito degli under 70.000, non aboliremo il referendum, però aggiungeremo un paio di righe e cioè che in caso di mancanza del quorum gli organizzatori dovranno ripagare allo stato tutti i soldi spesi per la sua realizzazione, responsabilizzando tutti coloro che firmarono per la realizzazione.

e poi come sempre abbiamo chi vuole sempre il top e chi lo rifiuta , mai 'na gioia 


20 commenti:

blogredire ha detto...

Bè, mi sembra abbastanza evidente che coloro che hanno deciso di fare sto referendum abbiano dei cervelli di bambini... molto sottosviluppati, comunque io e consorte siamo andati a votare.
Un saluto

Anonimo ha detto...

Qui entra in scena Totò:e io pago!

Andrea ha detto...
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fracatz ha detto...

e poi, come in questo caso, buttare dei soldi per cancellare leggi scritte da caporioni pagati dal bobbolo per migliorare l'esistenza dei mortidifame, ma è chi che comanda per 5 anni che deve capire ciò che è giusto e ciò che va cancellato, altrimenti chi comanda viene deresponsabilizzato e ce lo troviamo al governo per altri 5 anni

Anonimo ha detto...

Compagni? Io Andrea non sono compagno di nessuno. Solo il giusto...Tanti anni fa scrissi a Fracatz che una foresta si rigenera dopo il fuoco. Ecco, Andrea, la mia linea. Non dimenticare mai la "foresta" quando scrivi a me.
G

Anonimo ha detto...

@G
"se il popolo non è disposto a votare su questioni vitali, cosa ci sta raccontando questo rifiuto collettivo?"

Ma io ci vedrei una risposta già internamente al quesito stesso.Il condizionale mette a fuoco "questioni vitali", quanto magari è proprio perché non sono ritenute questioni vitali per come sono state esposte una delle cause di astensionismo collettivo.

Se proviamo a fare un giro tra i blog molti di essi danno la propria versione facendo comunella con tutti coloro che parlano di astensionismo e menefreghismo su queste benedette questioni vitali.I cinque punti del referendum specchietto per le allodole e le allodole attratte da questi sprazzi di luce sono prede migliori per i "cacciatori".

Anonimo ha detto...


@Anonimo
Hai ragione nel mettere in discussione la definizione di “questioni vitali”. In effetti, se bisogna precisare che lo sono, forse non lo sono davvero, o meglio, non lo sembrano a chi dovrebbe sentirsele addosso come urgenza. Ma allora la domanda si sposta: perché non lo sembrano più?
Perché una riforma del lavoro, una legge sulla cittadinanza, perfino il diritto a un contratto decente non generano più indignazione ma solo sbadigli?
Il punto è proprio lì: nella distanza tra chi formula la domanda e chi dovrebbe rispondere. La politica oggi si illude che basti raccogliere firme per “attivare” la democrazia. Ma se nel frattempo hai disattivato il contatto con la realtà sociale, puoi anche scendere in piazza con la Costituzione in mano e l’entusiasmo nei tweet… che la gente resta a casa. Sì, i quesiti erano pasticciati. Sì, l’esposizione è stata opaca. Ma questo non è un problema di comunicazione, è un problema di credibilità. Il popolo non diserta il voto perché è pigro o apatico. Lo diserta perché non si fida più nemmeno delle battaglie giuste, quando arrivano da bocche e partiti che in passato hanno già tradito.
Quindi sì: non erano “questioni vitali”. Non lo erano più. E questo è il vero fallimento, non solo del referendum, ma di chi avrebbe dovuto renderle tali.
G

Andrea ha detto...
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Anonimo ha detto...

Elly Schlein è arrivata come "vento di cambiamento", ma l’unico spiffero che si è sentito è quello che esce dal portone di Largo del Nazareno quando lo aprono per far entrare gli stessi di sempre. Doveva essere "la segretaria della discontinuità", e invece ha solo riciclato facce e formule, aggiungendoci un tocco glam e una manciata di interviste ben calibrate per chi vive tra ZTL e Terzo Settore.
"Il PD torna nelle periferie" si diceva. Ma nelle periferie, di Elly e della sua sinistra, non si è vista nemmeno l’ombra. Al massimo sono arrivati i volantini. Intanto Meloni presidia i mercati, parla il dialetto del potere, e vince anche quando sta zitta. Schlein invece parla molto, in tre lingue, ma non convince in nessuna.
La sinistra “vicina ai giovani”? Forse quelli del FuoriSalone o dei festival letterari. Ma provate a chiedere a un rider, a una commessa sottoinquadrata, a un precario della scuola cosa rappresenta oggi il PD, e la risposta sarà un misto tra uno sbadiglio e un’imprecazione.
"Costruiamo una nuova partecipazione democratica." Tradotto: facciamo un sondaggio interno, poi decidono sempre gli stessi. "Il lavoro torni al centro." Ma quale lavoro? Il centro semmai è rimasto quello del CV degli ex ministri: consulenze, fondazioni, porte girevoli. "Noi siamo un argine alla destra." Sì, ma l’argine è pieno di crepe, e l'acqua è già passata. Schlein aveva l’occasione di restituire identità alla sinistra, e invece ha scelto il ruolo della testimonial: elegante, civile, corretta, assolutamente inoffensiva. Il partito che avrebbe dovuto rappresentare gli ultimi, gli sfruttati, i dimenticati, continua a parlare come se stesse sempre partecipando a un dibattito tra élite illuminate, dove l’applauso conta più del voto.
Il referendum è stato il termometro perfetto. Zero mobilitazione, zero passione. E soprattutto: nessun rischio. Come sempre. Perché in fondo, il vero slogan non detto è: “Meglio perdere con stile, che sporcarsi per vincere”.
E così resta questa sinistra con la faccia pulita e le mani in tasca, che sogna di cambiare il mondo senza nemmeno provare a sporcarlo un po’. Una sinistra che ama definirsi "pluralista", ma che ha paura del dissenso vero. Che parla di diritti, ma non si accorge che intorno è rimasto solo il silenzio dei diritti perduti. E in questo silenzio, Elly Schlein non guida: accompagna. Accompagna il Partito Democratico verso la sua definitiva trasformazione, da partito di massa a nicchia di coscienze benpensanti, da argine sociale a hashtag progressista. Un’agonia estetica, senza neanche più la forza di una sconfitta tragica. Solo una lunga, dolcissima, irrilevanza.

fracatz ha detto...

mi raccomando ragazzi, se volete fondarvi il vostro partito, moderno, serio, questo è il momento giusto per farlo, io col mio degli under 70.000 sbagliai proprio il momento, capirai c'erano freschi e belli i 5 star di Peppe, che s'era pure fatto a nuoto lo stretto di messina..
Appozzate pure al mio programma che è tutta robba bbona e calcolata ve lo consento volentieri, perchè ci sarebbe tanto bisogno di un miglioramento

Anonimo ha detto...



@Anonimo
Ti ringrazio per la risposta articolata. In parte condivisibile, in parte utile per chiarire meglio le differenze tra rigetto attivo e semplice disillusione. Però permettimi qualche nota:
che la politica abbia costruito un referendum come strumento strategico (e quindi poco credibile) è esatto. Che il suo fine vero fosse mandare a casa la Meloni, è probabile. Ma questo, se ci pensi, non nega il punto: lo conferma.
Perché quando la politica “infila” la parola lavoro dentro un contenitore opaco, lo fa sapendo che quella parola dovrebbe mobilitare, e invece non muove più nulla. E questo è drammatico, non per la parola, ma per come è stata svuotata.
Dici giustamente che “non basta scrivere lavoro per sentirsi rappresentati”. Ma è proprio lì il fallimento: nel credere che basti un’etichetta per attivare la partecipazione. La crisi è nel contenuto, non nella parola.
Riguardo al fatto che “ognuno combatte la propria battaglia personale”, vero anche questo. Ma proprio per questo serve una politica che riconosca quei conflitti, non che li sfrutti o li ignori. E invece, come scrivi bene tu, una certa politica ha trasformato persino la partecipazione in colpa: o voti come vogliono loro, o sei tu il problema. Astenersi, in certi casi, è un atto lucido. Lo diventa però solo quando è accompagnato da un pensiero critico, come il tuo, e non da un semplice “non mi fido di nessuno”.
Infine: la sfiducia verso tutte le battaglie rischia di diventare un’arma spuntata. Capisco la rabbia, ma se anche le istanze giuste vengono archiviate come “strumentali”, non resta che il silenzio. E il silenzio, spesso, non cambia nulla.
Per questo serve distinguere: non tutte le proposte sono uguali, e non tutti quelli che si sono astenuti lo hanno fatto con lo stesso grado di coscienza. Farlo passare per coerenza collettiva mi sembra rischioso. Anche il potere ringrazia, quando il popolo non si presenta.
G





Anonimo ha detto...

La sinistra italiana non l’ha persa Meloni. L’ha persa da sola, quando ha smesso di opporsi, di distinguersi, di scegliere. È bastato l’appello al senso di responsabilità, ed eccoli lì: ministri in governi tecnici, reggicoda del rigore, coprotagonisti delle peggiori riforme “neutre”, dal Jobs Act alla Buona Scuola, passando per tagli lineari e patti di stabilità firmati con penne che odoravano di Bruxelles. Le larghe intese, per la sinistra, non sono mai state un piano. Sono state un suicidio lento, firmato a rate. Hanno confuso l’unità con la resa, il compromesso con la cancellazione di sé. E mentre a destra gridavano “traditori”, da sinistra rispondevano con un sussurro: “abbiamo evitato il peggio”. Ma quel “peggio” è arrivato lo stesso. Si chiama astensione. Disillusione. Fuga dal voto. Ricordiamo bene il PD che si accorda con Alfano. O quello che sostiene Monti in nome dell’Europa. O quello che lascia a Draghi i tasti del pianoforte e si limita a girare le pagine. In nome della stabilità hanno sacrificato tutto: conflitto, radicamento, popolo.
E quando poi c’è stato da rifare identità, si sono presentati con slogan sulla giustizia sociale dopo aver votato la legge Fornero. Hanno parlato di inclusione dopo aver spalancato le porte ai decreti sicurezza. Hanno detto "lavoro" dopo averlo flessibilizzato fino a polverizzarlo. Le larghe intese non hanno allargato nulla. Hanno ristretto lo spazio della politica vera, ridotto l’opposizione a un’opzione morale, e lasciato campo aperto alla destra più compatta di sempre.
In fondo, non è Meloni che ha cancellato la sinistra.
È la sinistra che ha firmato la delega. Con penna blu. E silenzio complice.

Andrea ha detto...
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allegropessimista ha detto...

Intanto erano collegati a quello sulla riforma di Calderoli, bocciata dalla consulta. Se ci fosse stata anche quella si sarebbe raggiunto i quorum

Anonimo ha detto...

È probabile che con il referendum sulla riforma Calderoli in campo si sarebbe smosso qualcosa in più, almeno a livello emotivo. Ma se un’iniziativa popolare regge solo sul traino di un’altra, allora forse è già zoppa in partenza.
Significa che i cinque quesiti attuali non sono bastati a mobilitare, nonostante fossero presentati come “questioni vitali”. E questo ci riporta al cuore del problema: una distanza abissale tra chi formula e chi vive.
Inoltre, confidare nel quorum “accidentale” è già una sconfitta culturale: vuol dire non saper costruire un coinvolgimento autentico, ma sperare nel traino, nella rabbia per altro, nella somma di malumori.
E la politica che si nutre di questi incastri, referendum di rimbalzo, emozioni collaterali, rabbia presa in prestito, non è partecipazione. È disperazione con scadenza.

Anonimo ha detto...

@Fracatz
Eh, lo capisco Fracatz... il timing è tutto. Tu con gli under 70.000 eri già avanti, ma il Paese stava ancora in piena sbornia grillina, con Peppe che faceva il mistico e il maratoneta insieme, si buttava a nuoto nello Stretto e intanto si portava via pure le tessere elettorali dei pensionati. Che vuoi farci: hai lanciato la navicella prima che la rampa fosse montata.
E oggi? Oggi è il momento perfetto: la politica è talmente sgonfia che basterebbe un partito con tre idee chiare, una panchina al parco e due slogan che non sembrino scritti da un algoritmo in crisi di mezza età.
Il campo largo è diventato un buco nero, le sinistre litigano anche tra i cloni, e la destra... be’, quella non ha nemmeno bisogno di parlare: basta che faccia finta di governare.
Quindi sì, chiunque voglia fondare qualcosa, parta pure dal tuo programma, è ancora più fresco di quelli depositati in Cassazione. L'importante è non rifare l’errore tragico di sembrare seri. Quelli seri non li vota più nessuno.
E se poi nel programma c’è spazio per la salsiccia politica ben rosolata, io mi prenoto. Anche solo per portare il vino e accendere il fuoco, che su quello ho un minimo di esperienza.
G

Andrea ha detto...
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fracatz ha detto...

ciao Andrea, le mie più sentite condoglianze per la tua perdita, il tempo continua a scorrere comunque coinvolgendoci nelle sue evenienze

Andrea ha detto...
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MaratonetaGiò ha detto...

Continuiamo a farci del male... Moretti docet!