Ci sono in giro caporioni che semplificano emettenno nuovi editti che certamente li faranno ricordare nei secoli futuri. Per semplificare bisognerebbe a mio avviso annullare gli editti emessi negli anni passati oppure visto che questo sarebbe faticoso, aggiungere poche righe alla legge sull’autocertificazione dicendo che essa è valida per tutti gli adempimenti richiesti al cittadino dai vari uffici creati via via negli anni a sua insaputa. Si dovrebbe aggiungere anche due righe riguardanti eventuali false dichiarazioni e cioè: campo di lavoro forzato per 5 anni oppure mazzata pecuniaria (pene entrambe certe, dirette e non solo paventate).
Un altro sistema sarebbe quello di sgravare il cittadino e gravare tutti gli adempimenti chiesti su quelli uffici che li richiedono, pretendendo dal cittadino solo il codice fiscale e la spesa totale necessaria.
Io preferirei vivere in uno stato dove si dà ampia fiducia al cittadino, ma con certezza della pena in caso di fuorvianze. Questo in genere avviene nei popoli di religione protestante, o al sud tra ebrei od arabi (occhio per occhio, taglio degli arti, lapidazioni etc..) noi purtroppo semo orientati al perdono cristiano (abbiamo perso tutto dei latini) e quindi, siccome sappiamo che tutto è perdonabile ingolfiamo gli uffici di carte, stronzate, certificati, il tutto per essere sicuri che la parola data è quella giusta. Ma figurati se il delinquente poi non riesce a procurarsi un certificato falso.
me ariccomanno quando tornate al mare
19 commenti:
Come con l'evasione fiscale. Fa ridere sta cosa che non riusciamo a beccarli 'sti evasori, tutti che sfrecciano su bolidi a tremila cavalli, sugli yatch intestati alla società di comodo, e che escono dalle gioiellerie coi brillocchi e gli orologi da paura.
Fa davvero sorridere, pur se amaro.
In Italia quando qualcuno semplifica in realtà complica le cose-
D'altronde siamo un popolo complicato.
Ci sono in giro dei caporioni, rigorosamente col culo al caldo e lo stipendio a gettone, che si alzano la mattina col trip di “semplificare”. E giù editti, commi, sottocommi, articoletti col fiato corto. Un’altra cucchiaiata di minestrone legislativo che verrà ricordata nei secoli… o almeno fino al prossimo decreto “basta carte”. Ora, se uno volesse davvero semplificare, dovrebbe fare una cosa sola: cancellare tutto quello che è stato scritto prima. Pulizia etnica normativa. Ctrl+A → Canc. Ma siccome cancellare è faticoso e pure impopolare, propongo il mio sistema: due righe secche nella legge sull’autocertificazione. Prima riga: “Vale per tutto, anche per i bolli sul culo che ancora nessuno ha inventato.” Seconda riga: “Chi dichiara il falso paga cinque anni di campo di lavoro forzato, oppure una mazzata pecuniaria che gli tremano i denti. Nessuna sospensione, nessun ricorso, nessun avvocato che piange in tv.” Oppure, ancora meglio: scarichiamo tutto sugli uffici. Tu cittadino porti il tuo codice fiscale, paghi e via. Tutto il resto se lo smazzano loro. Hanno voluto le carte? Che le compilino. Ma no, da noi non si può. Da noi siamo cristiani, cribbio. Perdono per tutti, pure per quelli che ti rubano il motorino con l’autocertificazione. Altro che romani, altro che Mosè: noi siamo i figli illegittimi del certificato bollato, del “meglio controllare che fidarsi”. E così intasiamo gli uffici di timbri, dichiarazioni, moduli e scartoffie, che poi tanto il delinquente il certificato falso se lo procura comunque, magari fatto meglio dell’originale. Il risultato? Il cittadino onesto fa la fila al CAF con le mutande bucate, e il truffatore va a Ibiza col 730 tarocco e il bonus cultura del figlio mai nato. E allora? Allora ridatemi lo Stato severo e giusto. Quello dove ti si crede, ma se menti ti cavano gli incisivi con le pinze del tecnico comunale. Oppure fate come vi pare, ma non chiamatela semplificazione. È solo pornografia legislativa, ma senza neanche il gusto della perversione.
G
èh sì, se le cose vanno così è perché la maggioranza bobbolare le apprezza, anche se non sa che l'animale grosso si mangia quello piccolo ed oggi anche nei cieli aleggiano solo caporioni e qui da me stan sparendo anche i merli maschi dal becco giallo.
I caporioni tra loro si apprezzano e per questo i contadini non son più liberi di sparare nei loro campi
Hai ragione fracatz, la catena alimentare non si ferma alle leggi della natura: anche nella giungla burocratica vince il più grosso, o meglio, quello con l’aggancio giusto. E mentre i caporioni si grattano l’ombelico nei palazzi, fuori il cittadino si svena per una marca da bollo da 16 euro.
Sai qual è l’ultima? Il Ministero dell’Istruzione ha appena lanciato l’ennesima piattaforma digitale per snellire le pratiche scolastiche. Nome altisonante, interfaccia preistorica, e per registrarsi serve ancora la vecchia autocertificazione cartacea da caricare online. Capisci? Stampi, firmi, scannerizzi. Altro che snellimento, è fitness amministrativo. Nel frattempo, l’ANAC (Autorità Anticorruzione) ha denunciato che il 70% dei controlli sulle autocertificazioni nemmeno si fanno. Però guai a non compilare la casella “dichiaro di essere a conoscenza delle sanzioni penali…”: quella la vogliono sempre, che fa scena. E il bello è che spesso le sanzioni non arrivano nemmeno: i denti, come dici tu, non glieli leva nessuno. Poi ci chiediamo perché si preferisce il falso in rete, l’intermediario amico, il file Word già pronto a 50 euro nel gruppo Telegram. La verità è che tra norme bizantine e sistemi che sembrano progettati da ingegneri sadici, lo Stato ci spinge tra le braccia della truffa. Altro che autocertificazione: qui si va avanti di autodifesa.
G
Eh sì G, animali grossi ovunque, e mica solo nei cieli. S’è estinto il merlo col becco giallo, ma intanto proliferano i piccioni ministeriali, quelli che firmano decreti fotocopia tra un buffet e un convegno sul “digitale inclusivo”. Che poi “digitale” da noi vuol dire cliccare quattro volte per stampare un PDF che dovrai portare a mano all’ufficio dove nessuno ha mai visto una PEC funzionare.
Per dire, nel 2025 esiste ancora l’obbligo del bollo da 16 euro su certi moduli INPS, ma solo se li consegni in cartaceo. Online no. Però non sempre ti accettano il digitale. Quindi? Stampi tutto, poi fai la fila, poi il CAF ti dice che dovevi cliccare prima su “allega documentazione” e poi su “prosegui”. Altrimenti tutto da capo. E chiamano questa “semplificazione”.
Nel frattempo la UE, quella che ci guarda con l’occhio severo solo quando pare a lei, ha approvato lo European Digital Identity Wallet. In teoria: tutto in un’app, patente, tessera sanitaria, certificati. In pratica? In Italia non partirà prima del 2027, se va bene. Perché serve una legge di recepimento, una delibera attuativa, un portale dedicato, e ovviamente il timbro del messo comunale in pigiama.
Ma sai qual è il capolavoro? L’ultima circolare interna dell’Agenzia delle Entrate (vera, datata maggio 2025) che chiarisce che le autodichiarazioni digitali devono comunque riportare firma autografa scannerizzata, e magari pure allegare copia del documento d’identità. Già che ci siamo, mettiamoci anche la foto del battesimo, va’.
Poi però apri i giornali e scopri che centinaia di bonus truffa sono stati approvati perché “i controlli avverranno a campione, dopo l’erogazione”. Che bello il cittadino presunto innocente… finché non è povero.
E quindi sì: ridateci lo Stato severo e giusto. Uno che non rompe le palle per la residenza, ma che se dichiari il falso ti ritira la carta d’identità e ti manda a sfilettare acciughe in silenzio per sei mesi. Altro che avvocati in lacrime in diretta a “Porta a Porta”.
a proposito io ho sempre nel portafogli una marca da 16 euri ma sarà una decina d'anni che non la uso, sarà sempre buona o scaduta?
per l'evasione è più efficace la tassazione indiretta su bolli di circolazione, iva ed assicurazioni, se poi er mortodefame vuole girare sul suv, peggio per lui
Fracatz, dieci anni nel portafogli, probabilmente non vale più niente, non per la legge, ma per l’umidità, le pieghe, il sudore delle tasche. È stropicciata come un promemoria vecchio che non si riesce a buttare, e il dubbio sulla sua validità è solo la scusa per non ammettere che è già carta straccia. È il ritratto perfetto di un paese che non sa decidere se morire di burocrazia o sopravvivere per inerzia. Chiedersi se sia ancora buona è una domanda che puzza di muffa e rassegnazione, come controllare se si può ancora riscattare un gettone del Super Telefono di Stato. Non è nostalgia: è necrofilia amministrativa. Quella marca non serve, ma la portiamo con noi come si portano i fallimenti: spiegazzati, inutili, ma familiari. È un resto di carta incollato a una cultura che vive di firme, timbri e file interminabili, dove anche l'inutile deve avere un posto, purché abbia un codice numerico. E allora sì, fracatz, tienila quella marca: non perché serva, ma perché è tutto ciò che resta quando un paese smette di funzionare e comincia a collezionare prove della propria decomposizione.
Lo SPID Andrea 🤣🤣🤣
G
G, altro che commento: si potrebbe scrivere un’enciclopedia delle “semplificazioni legiferate”, a fascicoli settimanali, come le collezioni da edicola. Ogni settimana una trappola nuova, ogni anno il volume di aggiornamento. Ma senza possibilità di arretrati: chi resta indietro è fuori dal gioco 😅. La verità G che lo SPID pare inventato da un pubblicitario stanco alle sei di sera, ed è la più recente illusione di efficienza spacciata dallo Stato: un'identità digitale da richiedere in presenza, col documento in mano, lo sguardo fisso, e l’anima compressa in un selfie da spedire a un ufficio remoto che lavora da un call center ucraino. L’idea era “semplificare l’accesso ai servizi”, ma il risultato è che oggi, per prenotare una visita medica o pagare una tassa, devi affrontare una procedura degna di un controllo doganale intercontinentale. Password, PIN, codici temporanei, mail di conferma, app che scadono, e il terrore costante di perdere tutto per aver cambiato telefono. Lo SPID non dimostra che esisti: dimostra che sei sufficientemente docile da accettare la nuova umiliazione in formato digitale. Non è identità, è sottomissione: un modo elegante per trasformarti in utente tracciato, schedato e responsabile in caso di errore, mentre il sistema resta irresponsabile per definizione. Lo chiamano “accesso sicuro”, ma la verità è che se salti un passaggio non sei nessuno. Sei fuori. Escluso. Sei un fantasma non autorizzato. E allora sì, lunga vita allo SPID: la tessera del club per chi vuole sentirsi cittadino, ma si ritrova solo cliente di uno Stato che ti guarda storto anche online.
Ormai siamo morti Andrea, siamo morti e sepolti.
G
G, anche i morti si trovano invischiati nella ragnatela della fatturazione elettronica, quel sistema che pretende di registrare ogni transazione, senza mai concedere una tregua, nemmeno a chi ha già lasciato questo mondo. Un caso vero? Ecco: il signor Rossi muore, ma il suo codice fiscale rimane “attivo” nel sistema per mesi, continuando a ricevere notifiche automatiche di fatture da saldare. La vedova riceve messaggi automatici di sollecito da parte dell’Agenzia delle Entrate: “Gentile contribuente, il suo pagamento risulta insoluto”. Come rispondi? Il sistema non accetta spiegazioni umane, né documenti che attestano la morte. È come provare a parlare con un robot che ignora ogni empatia. Oppure, un commercialista racconta di dover “resuscitare” temporaneamente la partita IVA di un cliente deceduto per poter chiudere la contabilità e inviare le fatture finali. Un rito macabro, fatto di clic e procedure informatiche, che sembra più un esorcismo digitale che un lavoro amministrativo. Un altro aneddoto parla di una piccola impresa che ha dovuto affrontare mesi di blocchi e rallentamenti perché il sistema si rifiutava di accettare la cessazione dell’attività a causa di incongruenze nella fatturazione elettronica: tutto perché alcuni documenti erano stati inviati “dopo la morte” legale del titolare, creando un loop senza fine di notifiche e richieste. Questa non è solo burocrazia: è la celebrazione di una morte che non libera, ma incatena. La “digitalizzazione” qui si mostra nella sua forma più crudele: un meccanismo senza cuore che non riconosce la fine, che fa dell’ultimo atto fiscale un tormento infinito. E mentre i vivi si dibattono tra codici e procedure, i morti diventano fantasmi elettronici, prigionieri di una semplificazione che è solo un’altra forma di complicazione.
Benvenuti nell’Italia dove anche morire è un altro passaggio burocratico da completare. E dove, probabilmente, ci sarà un nuovo software per “digitalizzare” anche il funerale.
lo spidde è abbastanza accessibile, si accontenta del cambio della password ogni 6 mesi, io lo uso un paio di volte l'anno per il 730, ora però non trovano i 43 milioni per rifinanziarlo e chissà se toccherà pagarcelo coi nostri soldi personali
Fracatz, lo SPID “accessibile” è come quei negozi che hanno la rampa, ma poi ti fanno salire tre scalini per accedere al bagno. Ora pare che manchino quei famosi 43 milioni per rifinanziarlo: il sistema per “semplificarci la vita” rischia di spegnersi per mancanza di fondi pubblici, e ci ritroviamo a doverlo rifinanziare con i nostri portafogli, dopo averlo usato due volte l’anno, ma aggiornato dodici. Ironico, no? Ma è solo l’antipasto: il bilancio INPS 2025 sta in piedi con un rosso da 9,3 miliardi, e per il 2032 si prevede un buco da 45. Quarantacinque miliardi. Altro che password ogni sei mesi: qui tra poco chiederanno la retina oculare al defunto per certificare il 730 post-mortem. Intanto ci allungano la possibilità di rateizzare i debiti in 60 mesi, una pietà fiscale che sa tanto di agonia pianificata. Il quadro è questo: un’identità digitale sempre più personale, un debito sempre più collettivo, e un futuro che ci chiede l’accesso con lo SPID, ma senza budget per tenerlo aperto. Il sistema è automatico, la beffa è continua.
La chiamano “semplificazione” ma è un accanimento burocratico travestito da efficienza. SPID? Ti obbligano a cambiar password ogni sei mesi per accedere due volte l’anno (come nel caso di fracatz) a un portale che va giù appena lo Stato apre i rubinetti (tipo per il 730 o il bonus di turno). Se sbagli due volte, sei fuori: reset, verifica, documento, selfie come un sospettato. Ma la vera farsa è che mancano 43 milioni (come scritto da fracatz) per tenerlo in vita: dopo averti imposto un’identità digitale per accedere ai servizi pubblici, ora ti dicono che o te la paghi da solo o ti arrangi. E mentre l’INPS affoga nei miliardi di rosso, continua a mandare solleciti a gente già morta o a bloccare pratiche per un "mancato aggiornamento del domicilio digitale". Conosco un caso in cui un padre è dovuto tornare in comune tre volte per ottenere l’ISEE del figlio disabile, perché la piattaforma non “dialogava” con l’Agenzia delle Entrate. Cioè: hanno digitalizzato tutto, ma non si parlano. E noi, nel mezzo, a compilare moduli su moduli per correggere errori che non abbiamo fatto. Questa non è transizione digitale: è un sofisticato sistema di deresponsabilizzazione istituzionale, dove se sbaglia lo Stato paghi tu. Sotto la maschera della semplificazione c’è solo un mostro con più teste, che parla in XML ma capisce solo la lingua del disastro.
G
Piaccia o no ormai si parla per sigle e in sigle proprio per semplificare,mo mi domando dopo le semplificazioni che altro possa esserci se non l'annullamento? Me lo vedo un anziano e non , che non ricorda tutte queste password e perfino il quaderno dove le ha memorizzate ..Un tempo esistevano gli uffici dove avveniva uno scambio anche di parole e le file di persone ,poi è arrivata la semplificazione e abbiamo rotte le righe ognuno va per fatti suoi e tra pesci grandi e pesci piccoli si sono rotti gli argini e noi ancora a complicarci la vita con tutte le semplificazioni.Mah,che vi posso dire ,buona fortuna a tutti:)
Hai ragione, ormai viviamo nel regno delle sigle: SPID, PEC, CIE, PIN, OTP… ci manca solo che per chiedere l’esenzione dal ticket serva il DNA. L’idea di “semplificare” è diventata un pretesto per digitalizzare tutto, ma in realtà è solo una forma moderna di esclusione: chi non ha dimestichezza o memoria (letteralmente!) viene lasciato fuori dal sistema, o trattato come un problema. L’anziano che perde il quaderno delle password non è un’eccezione, è il nuovo escluso di un Paese che ha sostituito la fila allo sportello con l’attesa infinita davanti a una pagina che non carica. E sì, ci siamo persi anche il gesto umano, lo scambio, perfino la scocciatura condivisa. Adesso ognuno si arrangia, e se sbaglia paga, perché la semplificazione, alla fine, semplifica solo per chi comanda. Gli altri, navigano a vista… o affondano. Quindi sì: buona fortuna a tutti, ché ormai serve più di tutto.
Grazie Andrea,le auguro una buona serata.
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